Derive

Sala d’Arte Pascucci – Galleria Modigliani – Grosseto 2016

E’ uno specchio, questo mare.

Qui, nel suo ventre, ho visto me stesso.

Ho visto davvero.

Alessandro Baricco, Oceano mare, 2007

Quanto a lungo si può resistere sott’acqua?

Torno a chiedermi guardando i dipinti. Era la domanda che mi facevo da bambino, quando guardavo il mare seduto sui tronchi nella spiaggia di Marina di Alberese.

Quanta vita c’è, lì?

Anche Germano sta guardando i dipinti e, quando spiega le sue marine, sembra rispondermi: “Mentre dipingevo ho scoperto che il vero soggetto di questi quadri è l’attesa. Poi ho associato le spiagge ai migranti e mi sono emozionato. Ecco cosa sto aspettando… Che ne dici?”

Sulla costa maremmana non arriveranno mai barche di migranti. Penso, ma non rispondo.

Poi penso ancora: Non arriveranno mai, ma lui li aspetta comunque. E quest’attesa, ancora in atto, mi pare dolce, infinita e struggente, soprattutto perché mi fa venire in mente una poesia che ho letto proprio ieri sera, prima di addormentarmi. Una poesia di Giovanni Nadiani, tradotta dal dialetto romagnolo e rimasticata così da Simone Giusti:

 

Ci sono si sono visti
sono tornati a casa?

esser là per chi arriva
aspettare finché faccia buio…

 (fa male la schiena
a forza di star qui impalati
a far cenno a uno che non viene)

se gli altri non ci sono
noi siamo nessuno
se ci siamo per tutti
ci consumiamo come
esser stati mai

essere in ciò che non siamo
in ciò che gli altri sono…

 

Essere in ciò che non siamo. Cercare sé negli altri. E in questi quadri non c’è nessuno.

C’è solo il mare, la sabbia, il cielo. Spazi dilatati, vuoti e abbandonati.

Però, naturalmente, a ben vedere in questi quadri qualcuno c’è. C’è chi li ha dipinti e ci si specchia, e anche chi li osserva. Se chi li osserva è guidato da un titolo – dal riferimento alle migrazioni – allora può abitarli in modo nuovo e capire che non sta guardando semplicemente l’illustrazione di un paesaggio.

Questo io l’ho capito.

E anche questo: la disperazione di chi fugge è un concetto così lontano e astratto per la nostra distaccata esperienza, qui e ora, che non possiamo comprendere gli approdi, gli umori, gli odori e le vite di chi è “altro da noi” se non attraverso forme d’espressione alternative alle comunicazioni quotidiane e rituali.

Però, attraverso la sua testimonianza alternativa di olio, pigmento, carne e sangue, Germano non ci propone i migranti del bar e della televisione, che non conosce e che spera siano tornati incolumi a casa, qualsiasi casa.

Attraverso le sue marine Germano racconta invece i suoi personalissimi migranti, che in fondo non sono che i suoi giorni che passano nella disposizione all’attesa e alla speranza, alla cordialità e all’ospitalità, alla volontà di soccorrere e accogliere.

Qualcuno ha scritto che l’arte non serve per indicare, ma per far sentire. Ad esempio, un quadro notturno non dovrebbe scrivere la notte, illustrarla, ma farci vivere l’emozione del buio e del silenzio.

E allora realizzo che adesso, per me, queste marine stanno diventando preziose ed eloquenti. Perché non solo evocano un tempo lento e meditato, privo di drammi e di colpe, un tempo disposto a fermarsi. Ma soprattutto perché fanno sentire il senso di smarrimento e, allo stesso tempo, la voglia di abbandonare le rotte consuete, quelle che urlano all’evento sensazionale della tragedia, alla violenza dei corpi esibiti nello spettacolo della comunicazione pervasiva, al dolore reiterato e incompreso che si dissangua in rapida e anestetica assuefazione.

Queste marine fanno sentire la voglia di naufragare dalle nostre solitudini, come fossero derive di umanità, galleggiamenti di senso abbandonati a nuove correnti che, senza solennità e retorica, sublimano in un mondo pacificato l’intensità e l’essenza di una vocazione troppo spesso soffocata, quella di riconoscersi negli altri.

“Quanto a lungo si può resistere sott’acqua?”

Se gli altri non ci sono, noi siamo nessuno.

Mauro Papa





le opere disponibili sono indicate 
available paintings are marked

Scorri verso l'alto