Paesaggi toscani

Cantina Antinori – Le Mortelle
Castiglione della Pescaia- 2012

Dalle dolci colline della Maremma Toscana, nei pressi di Castiglione della Pescaia, emerge timidamente una struttura interrata, dal sapore arcaico e dall’aspetto che evoca la vicina necropoli etrusca di Vetulonia. Si tratta della Cantina della Tenuta Le Mortelle, costruzione estremamente innovativa dal punto di vista architettonico e funzionale, realizzata nel pieno rispetto dell’ambiente, attraverso l’utilizzo di materiali costruttivi naturali e impianti di riciclaggio all’avanguardia, in grado di sfruttare le risorse geotermiche e le energie rinnovabili durante tutte le fasi di raccolta e lavorazione delle uve. L’ambiente, interrato e ad ipogeo, oltre alla particolare attenzione all’ecologia, si adegua perfettamente allo skyline maremmano, mimetizzandosi con esso e integrandovisi. L’amore, l’attaccamento e il profondo rispetto nei confronti della terra, ossia il cultus, inteso nel senso etimologico del termine, fanno della Tenuta Le Mortelle il luogo privilegiato e deputato alla promozione della cultura artistica.
La famiglia Antinori, da sempre interessata allo sviluppo della cultura vinicola maremmana, ogni giorno più importante nel panorama del mercato nazionale e internazionale, diventa madrina, con la collaborazione del Cedav (Centro di Documentazione per le Arti Visive della Fondazione Grosseto Cultura), di due appuntamenti legati all’arte che si terranno nel mese di giugno. Ad inaugurare il ciclo espositivo che la Cantina ospiterà nella sua suggestiva struttura elicoidale saranno le opere di Germano Paolini i cui paesaggi, in un serrato e osmotico dialogo con la natura circostante, si fondono sia con la struttura interna che con l’ambiente esterno e mostrano inoltre, in analogia con il lungo processo di maturazione del vino, l’evoluzione del percorso artistico del pittore grossetano.
L’opera Il ponte (2002), costituita da un assemblaggio di dodici tele di uguale forma e dimensione, sintetizza la ricerca pittorica portata avanti dall’artista nel corso della sua carriera. Nell’antro della barricaia, dove affiorano le nicchie con le rocce naturali, lasciate scoperte in tutta la loro selvaggia bellezza, il quadro, potenzialmente visibile sia nella sua interezza che separatamente attraverso la scomposizione e l’arbitraria ricomposizione delle tele di cui è costituito, squaderna un repertorio immaginifico di un paesaggio realmente visto e scientificamente reale, ma allo stesso tempo immaginato e astratto. Paesaggio che evoca e richiama alla memoria, ma che non imita mai pedissequamente quello tipico maremmano, proponendo una visione “critica” della natura, dove la memoria immaginativa interiore si unisce alla visione collettiva, in una dicotomia irrisolta tra dimensione reale e ideale. Il colore brumoso, denso e dorato delle colline della tela, intrisa di luce calda e avvolgente, rievoca quello della roccia nuda che corre intorno alla barricaia. La pennellata, colpo di luce frantumato e compatto, restituisce una struttura di tipo cézanniano. Il paragone con lo studio pittorico intrapreso da Cézanne, appropriato parallelo stabilito da coloro che hanno scritto dell’arte di Paolini, risiede nella comune ricerca di un confronto costruttivo con la natura e i fenomeni naturali, prendendo le distanze dallo svolgimento della pittura impressionista en plein air. L’addensamento del colore, steso con moderazione e disciplina, trattiene l’immagine scaturita dall’impressione della visione, ma allo stesso tempo conferisce ad essa forza, eroismo e solidità.
Il percorso di Paolini all’interno della Cantina si snoda e prosegue all’interno dell’intera struttura dove, in assonanza alla suggestiva vetrata che non interrompe, ma anzi alimenta continuamente il dialogo dell’interno con l’esterno, sono esposti altri paesaggi.
Frutto di una visione innamorata e distaccata, tali vedute suscitano un senso di profonda empatia nei confronti dello spettatore e rafforzano il concetto di eternità e stabilità dell’immagine, pur nell’apparente leggerezza e levità del cromatismo diffuso del gouache.
Le icastiche parole di Giorgio Seveso sull’arte di Paolini esprimono adeguatamente la ricerca pittorica portata avanti dall’artista: «E’ questa sua una misura interiore del dipingere -oggi assai rara- che rimanda a una vera e propria filosofia della pittura, a una poetica del rappresentare capace di contestare ogni abituale punto di vista di “genere”, trasformando un panorama -colline, cespugli, fiumare, campi e fossi- in uno straniante fondale di teatro, in un palcoscenico di silenzi felpati, messo in scena come un immobile personaggio che si tenga in posa dinanzi all’artista per farsi ritrarre».

Serena Pacchiani.

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